Quei due bambini morti sul barcone che qualcuno considera "invasori"
di
Alessandro Rossi
“Clandestini” come quei due bimbi, un maschietto e una femminuccia, e i loro giovani genitori che volevano “invadere” il nostro Paese....

Parole sbagliate nel giorno sbagliato. Mentre domenica da Lampedusa arrivava la notizia dell’ennesimo dramma delle migrazioni, i due bimbi ghanesi di due anni morti in mare di sete e di fame, il vicepremier Matteo Salvini tornava a ripetere che «oggi serve difendere i confini dell’Italia perché la nostra emergenza oggi è una invasione clandestina».
“Clandestini” come quei due bimbi, un maschietto e una femminuccia, e i loro giovani genitori che volevano “invadere” il nostro Paese. E invece sono sbarcati cadaverini. Morti tra le braccia delle loro mamme proprio nel giorno della festa della mamma. Morti su un insicuro gommone strapieno di più 60 persone, insicuro per degli adulti, ancor di più per dei bambini. Con poca benzina, poca acqua e poco cibo. Gli ultimi di più di 500 morti nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno, 32mila in dieci anni. Un mare che Papa Francesco aveva ribattezzato “mare mortuum” e non più “mare nostrum”. Ma l’“invasione” dei “clandestini” non si ferma. Non la fermano i più che discutibili accordi coi governi di Libia, Tunisia e Turchia, non la fermano le azioni criminali di milizie più o meno regolari, spesso equipaggiate dal nostro Paese. Non la fermano i rischi di finire nei centri, ora Cpr, in Albania.
Altro che effetto deterrente rivendicato dal Governo. Gli sbarchi quest’anno sono aumentati, e non di poco, rispetto al 2024, in gran parte arrivi dalla Libia, come i due piccoli. Ma non se ne parla. Perché è un evidente fallimento della linea del Governo che intendeva rallentare le partenze. Invece si continua a partire, anzi si parte di più. E si muore. Nei tanti naufragi, spesso senza testimoni, senza corpi da piangere. E si muore, in modo terribile, di fame e di sete. Come i due piccoli “clandestini” che non hanno neanche avuto la possibilità di “invadere”.
“Invadere” le nostre città e i nostri paesi sempre con meno bambini, le nostre scuole con tanti banchi vuoti. Avrebbero riempito di vita le nostre comunità, la loro nuova vita ancora tutta da vivere. E invece no. Solo morte per loro. Come tanti altri bambini. Troppi. E allora mentre si torna a parlare di “difendere i confini”, altre parole ci invitano ad altri comportamenti. Sono quelle di Papa Leone XIV nel suo primo messaggio Urbi et orbi quando ha detto che «dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere con le braccia aperte tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo e dell’amore».
Accoglienza, ponti, braccia aperte, come quelle degli operatori delle Ong che in queste settimane di primavera stanno soccorrendo e salvando ogni giorno centinaia di migranti. Per poi essere costretti ad altri lunghi viaggi verso porti lontani per sbarcare questi “invasori”. Ma questa volta le braccia aperte dei volontari della Nadir hanno dovuto accogliere, abbracciare, i cadaveri dei due piccoli “invasori” e i loro genitori, che oggi piangono disperati. Già, “invasori” disperati.
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