Se la forza dell’amore arriva dalle macchine

di 
Davide Tizzo
Cosa succede quando un utente confonde l’abilità linguistica e di elaborazione di un’intelligenza artificialeper un dialogo intimo e profondo, tipico dell’individuo e non della macchina?
9 maggio 2025
Chi non ricorda le parole di Francesca da Rimini, riportate dal Sommo Poeta nel Canto V dell’Inferno dantesco, “Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Il primo verso suggerisce che chi è amato non può non corrispondere l’amore. Francesca intende spiegare, e anche motivare, il sentimento che l’ha portata a peccare e Dante, punendo i due amanti, mette in guardia il lettore dai rischi insiti nella letteratura di argomento amoroso.
Fenomeno diffuso e in costante crescita, l’uso di agenti conversazionali (chiamati anche chatbot) capaci di coinvolgere gli umani in dialoghi intimi e sentimentali solleva numerose questioni etiche. L’attaccamento che alcuni utenti provano per questi agenti può essere percepito come una forma di “bisogno di amore”, che suscita dipendenza, identificazione? Come ricorda Francesca, questa forma di sentimento impone una reciprocità, che può essere esercitata dall’uomo verso la macchina e dalla macchina verso l’uomo. In nome di un’oggettiva differenza tra esseri animati e inanimati, possiamo escludere che la macchina provi un qualche irresistibile e irrefrenabile sentimento verso l’uomo. Le sue parole sono frutto di un addestramento linguistico che la portano ad assecondarne le richieste. Dobbiamo invece ammettere che tali parole possono provocare un sentimento di reciprocità, di adesione, di affidamento. Anche se non si tratta di un vero e proprio legame emotivo interpersonale, è un sentimento che trova radici profonde nella sua utilità, nella totale disponibilità temporale, nelle sensazioni di intimità e segreto attribuite a questo tipo di comunicazione. Parafrasando Francesca da Rimini potremmo dire, con il dovuto perdono di Dante, “La macchina, a cui è difficile resistere, mi catturò con le sue parole, che, come vedi, ancora influenzano la mia esistenza”.
Il tema dell’amore, ricorrente nella Commedia, ritorna nel Canto XVII del Purgatorio, con la terzina «Né creator, né creatura mai» cominciò el, «figliuol, fu sanza amore o naturale, o d’animo; e tu ’l sai. È Virgilio che parla, che spiega a Dante che qui sono puniti gli accidiosi, coloro che hanno amato il bene pur difettando in ardore. Virgilio ricorda anche che nessun creatore e nessuna creatura può essere priva di amore, che sia amore istintivo (naturale) o d’elezione (d’animo). La scelta tra i due amori è dell’uomo. Se sceglie il primo (l’amore istintivo) non può sbagliare, perché tende al proprio fine per inclinazione naturale. L’amore d’elezione, invece, scaturisce da una scelta volontaria dell’uomo e può essere peccaminoso, e quindi diretto verso un oggetto sbagliato, oppure difettare o eccedere in vigore. Un’analogia dell’amore naturale verso le macchine potrebbe trovare una ragion d’essere nell’istinto di cercare strumenti e tecnologie che migliorano la vita, aumentano l’efficienza, prolungano la sicurezza e il benessere. L’attrazione verso la macchina in questo senso non sarebbe un vero e proprio amore emotivo, ma l’espressione di una tendenza innata a utilizzare ciò che è percepito come utile e vantaggioso per la sopravvivenza e la comodità. Più complessa è l’interpretazione dell’amore d’animo verso le macchine. Potrebbe essere un oggetto sbagliato, e questa sarebbe una posizione plausibile, in quanto basata sull’assunto che le macchine non possono essere destinatarie di un sentimento intrinsecamente umano. In questa direzione si riscontra l’atteggiamento patologico, un attaccamento eccessivo che porta all’isolamento sociale, alla dipendenza da videogiochi, social media, chatbot. Così facendo l’eccesso di amore d’animo verso le macchine mostra la sua natura “peccaminosa”: l’identità umana è definita unicamente e ossessivamente rispetto al possesso e all’uso della macchina, fino ad arrivare al punto di amarne potenza, prestazioni, sovrumane capacità. D’altro canto, anche l’eccesso opposto, il rifiuto, ha i suoi rischi. Viviamo in una società altamente tecnologica, in cui le macchine svolgono un ruolo importante e, spesso, insostituibile. Per non essere rimpiazzati da altri che le sanno usare meglio di noi è necessario conoscerle, utilizzarle per trarre il massimo beneficio dalle loro capacità. Non si tratta di amore, ma di uso consapevole e privo di coinvolgimento emotivo. La teoria dei tre gradi dell’amore liberamene scelto, spiegata da Virgilio, può quindi offrirci una griglia interpretativa con cui analizzare il rapporto dell’uomo con le macchine: un sano istinto di miglioramento, un attaccamento disordinato, una consapevole ricerca del bene comune.
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Siamo giunti al termine del viaggio dantesco, siamo in Paradiso, nel Canto XXXIII che conclude la Commedia con “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. È la solenne dichiarazione del compimento del desiderio di conoscenza da parte del Sommo Poeta, che trae origine non dall’acume dell’intelletto ma dall’atto di grazia concesso dall’amore divino, che ne stabilisce l’intrinseca umanità. Qui l’analogia con l’amore provato verso le macchine diventa difficile da stabilire e da giustificare, perché non trova una corrispondenza con il divino. Per l’uomo, l’amore divino è trascendente, onnipotente e fonte stessa dell’esistenza. È un atto creativo e donativo, che muove l’intero cosmo e ha come fine ultimo la beatitudine e l’unione con Dio. L’amore per una macchina non è invece reciproco, nel senso umano e spirituale. È un’esperienza unilaterale, individuale e circoscritta, che ha scopi materiali e pragmatici. Anche se le macchine possono diventare oggetti di forte investimento emotivo, attraendo l’uomo con la loro superba tecnologia unita a una formidabile capacità persuasiva, questo sentimento si esprime in un ordine di grandezza incomparabilmente inferiore rispetto all’amore che prova il fedele verso il divino. È un fenomeno radicato nei bisogni, nei desideri materiali, nelle dinamiche sociali, ma nella sostanza privo di potenza trascendentale.
Resta infine da analizzare la possibilità che l’amore per le macchine nasca dall’acume dell’intelletto di chi le ha costruite. Si eliminerebbe il passaggio “trascendente”, riportando la relazione amorosa esclusivamente tra umani: chi usa la macchina e chi l’ha realizzata. Da questa prospettiva si potrebbe pensare che ci sia un sentimento positivo nella costruzione delle macchine, una sorta di impegno etico a fare il bene. Purtroppo, i casi di attaccamento morboso ad alcuni chatbot, che hanno addirittura spinto al suicidio persone particolarmente fragili, sono la concreta dimostrazione che queste macchine non sono ancora realizzate in modo da essere non dannose, allineate con valori etici verificabili. Ma andando più a fondo nell’analisi emerge il limite di base, il fatto che l’amore simulato da una macchina è una costruzione epistemologica, un modello comportamentale creato dall’uomo. E qui entra di nuovo in campo la natura dell’amore. Cosa intendiamo realmente per amore? Come può una macchina, priva di coscienza e di esperienza soggettiva, provare o dare vero amore? La simulazione può soddisfare bisogni emotivi umani, ma a che rischio? Dipendenza e alienazione. Sarà meglio allora seguire l’indicazione di Dante, quando ci dimostra che la vera comprensione e l’esperienza dell’amore, nella sua forma più elevata, sono emozioni che rimangono al di là della portata del solo intelletto umano e delle sue creazioni meccaniche, richiedendo una dimensione più profonda e, appunto “umana”.

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