«Aspettiamoci molte novità dal Papa. La sua elezione? Graduale»
di
Davide Tizzo
Parla il prefetto delle Cause dei santi: l'elezione di Leone XIV per niente faticosa e frutto dell'ascolto. Il Pontefice ha uno stile delicato, ma è risoluto. No a una sinodalità sociologica

Il cardinale Marcello Semeraro non lo nasconde. «Quando il Collegio cardinalizio ha cominciato a incontrarsi per preparare il Conclave, eravamo tutti preoccupati. Le differenti provenienze, la mancanza di conoscenza reciproca, le diverse sensibilità potevano lasciar ipotizzare giorni difficili. Compresi quelli dentro la Cappella Sistina. Invece l’elezione di Leone XIV non è stata per niente faticosa. Anche i tempi lo confermano: ventiquattro ore dall’Extra omnes. E sono davvero contento che abbiamo scelto Robert Prevost come Papa. Un uomo che stimo molto». Il prefetto del Dicastero delle cause dei santi lo conosce bene. «E non soltanto perché ci incontriamo sempre in ascensore o per le scale», scherza. Infatti ha condiviso con il cardinale Prevost lo stesso edificio di lavoro: il Palazzo delle Congregazioni in piazza Pio XII dove si trovano sia il Dicastero per i vescovi che l’attuale Papa ha guidato, sia quello delle cause dei santi. E l’energico porporato pugliese di 77 anni continua a condividere con il Pontefice l’ala del Palazzo del Sant’Uffizio in cui entrambi risiedono. Anche adesso, visto che Leone XIV resta per il momento nell’appartamento dove si era trasferito qualche mese fa, in attesa che decida quale sarà la sua abitazione. «Ha uno stile amabile e delicato, a tratti mite – racconta Semeraro –. Ma al tempo stesso è una persona di polso, capace di prendere decisioni quando si ha il dovere di farlo. Lo ha dimostrato come prefetto del Dicastero per i vescovi; lo aveva già rivelato da priore generale degli agostiniani».

Eminenza, il Conclave è stato breve. Un segnale che avete voluto mandare?
Direi che l’elezione di papa Leone è maturata attraverso una serie di circostanze. Prima di tutto, l’ascolto. In un Collegio cardinalizio così variegato abbiamo fatto proprio quanto dice san Benedetto che, a proposito dell’abate, chiede che ascolti tutti. Credo che sia stata un’opportunità del cielo. E, al tempo stesso, lo Spirito ci ha condotto nei lunghi giorni di confronto sulla Chiesa attuale e futura. Poi è iniziato il Conclave. Quando abbiamo ritardato nella prima votazione, pensavo: “Chissà che cosa diranno fuori perché non arriva la fumata. Forse penseranno che stiamo litigando…”. In realtà si erano allungati i tempi per le operazioni di voto, essendo il primo giorno. La maggioranza che ha permesso l’elezione di Leone XIV si è creata passo dopo passo, gradualmente, non all’improvviso. E ritengo tutto ciò un dono del Signore. Così come è stato un dono la docilità che ha portato a un certo momento anche a rinunciare quando si comprende che il vento soffia verso un’altra direzione. In breve è stata raggiunta la maggioranza necessaria.
Che cosa aspettarsi dal pontificato di Leone XIV?
Non una fotocopia di Francesco, così come papa Bergoglio non lo è stato rispetto a Benedetto XVI. Ci sono alcuni elementi biografici di Leone XIV che vanno tenuti presenti. Il primo è che è un Papa migrante, o meglio “figlio” dell’immigrazione: la sua famiglia viene dall’Europa che ha lasciato per raggiungere il continente americano. Anche questo è un segno che il Signore manda al mondo attraverso la Chiesa: l’attenzione ai migranti, a chi deve abbandonare tutto per avere una vita migliore. Magari qualche politico non avrà gradito la sua elezione… C’è chi dice che gli Stati Uniti abbiano il loro primo Papa; preferisco pensare che gli stranieri d’America abbiano il loro primo Pontefice. Non per nulla lui ha scelto di parlare anche in spagnolo dalla Loggia centrale.
Il secondo dato su papa Leone?
Quello missionario: l’attuale Papa è stato in Perù, anche da vescovo, quindi con ruoli di responsabilità. Abbiamo visto tutti le foto in cui era a cavallo o con gli stivali fra il fango. A papa Francesco lo accomuna una visione di promozione umana e sociale che scaturisce dal Vangelo. La scelta del nome lo conferma: Leone. Come lui stesso ha detto incontrando noi cardinali, rimanda a Leone XIII, il Papa della Rerum novarum. Oggi, come quasi un secolo e mezzo fa, siamo in mezzo non a un’epoca di cambiamenti ma a un cambiamento d’epoca, direbbe papa Francesco. L’intelligenza artificiale è l’emblema di una questione antropologica che ci interroga. Ma papa Leone non è soltanto questo.
Cosa altro è, secondo lei?
È un agostiniano, esperienza diversa da quella gesuitica di Francesco. Ha competenze teologiche; è esperto di patristica; ed è laureato in diritto canonico. Perciò ci sarà senz’altro una continuità fra i due pontificati, ma aggiungerei che dobbiamo attenderci almeno l’ottanta per cento di novità. Inoltre ritengo che sarà un pontificato della cattolicità, dove per cattolicità non deve intendersi l’universalità della Chiesa che è nozione spaziale, bensì un incontro delle varietà che vengono valorizzate armonicamente.
Il Papa ha indicato il Concilio come bussola.
Giovanni Paolo II aveva parlato di profezia del Vaticano II riflettendo sul nuovo millennio. Ci sono molte intuizioni del Concilio che ancora attendono di essere calate nella realtà. Per fare questo, occorre anche la virtù della prudenza che richiede il discernimento, la pazienza, la fatica della ricerca, il consiglio.
Papa Francesco ha modificato l’architettura della Curia Romana. Una riforma da completare?
Ne sono più che convinto. Anch’io ci ho lavorato fino a certo momento come segretario del Consiglio dei cardinali. Già Paolo VI aveva avvertito l’esigenza di rimetterci mano per favorire la missione del Papa e della Chiesa. Del resto la Curia è uno strumento di servizio e quindi può essere aggiustato in base alle esigenze. Anche nella riforma di Francesco un ruolo fondamentale deve giocarlo il diritto canonico. Esso è una garanzia: talvolta le realtà anche umane si rispettano osservando il diritto.
Il Papa ha fatto riferimento a collegialità e sinodalità. C’è chi critica una sinodalità troppo spinta.
Il termine “Sinodo” e l’aggettivo “sinodale” fanno parte della storia della Chiesa. Poi si è puntato sull’astrazione della “sinodalità”, concetto così vago che puoi metterci dentro quello che vuoi. All’idea di camminare insieme preferisco quella di incontro: il Sinodo è quindi un incontrarsi in Cristo. Invece la collegialità è propria dei vescovi. Ormai si sta confondendo il processo di elaborazione delle idee con quello decisionale. Piaccia o meno, dobbiamo rifarci al Vangelo: il Signore ha scelto Maria per portare in grembo il Verbo che si fa carne e per farne la nostra avvocata; ha voluto Maria di Magdala come prima testimone della Risurrezione; ma ha chiamato gli apostoli per guidare la Chiesa. Pertanto la stessa Chiesa non può sentirsi autorizzata a cambiare la prassi di Cristo. Il rischio è una lettura sociologica del tesoro sinodale, accompagnata dalla congettura che qualcuno possa decidere al posto del vescovo. Credo che papa Leone stabilirà come sia opportuno procedere. E va tenuto conto una frase di sant’Agostino che ha pronunciato nel suo primo saluto: “Con voi sono cristiano e per voi vescovo”.
Il Papa ha un legame peculiare con la Chiesa italiana. Che cosa aspettarsi?
Il Papa è il vescovo di Roma e, al tempo stesso, guida della Chiesa universale. Leone conosce bene la comunità ecclesiale della Penisola: ad esempio, per le nomine dei vescovi degli ultimi anni. Lo sguardo di speciale affetto e paternità verso la Chiesa italiana è senz’altro motivo di gioia, ma c’è anche un aspetto di governo. Il Papa ha bisogno di collaboratori, non di esecutori, e deve accadere ciò che avviene nelle altre nazioni.
Papa Leone dovrebbe presiedere due canonizzazioni molto attese: quelle di Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati.
Sottoporrò al Papa la questione. Deve essere lui a decidere per l’uno e per l’altro. Sono due giovani. Tuttavia non si tratta di esaltare un’età, ma gli spazi della vita. In questo senso penso allo statista dc Alcide De Gasperi, del quale si è chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione, o all’architetto spagnolo Antoni Gaudì che è da poco venerabile. Sia i giovani, sia la politica, sia il mondo dell’arte hanno urgenza di modelli di santità.
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