Tony Cercola: il mio cuore "buatte" forte per Napoli

di 
Davide Tizzo
Il percussionista delle "buatte" (le scatole di caffè) che ha accompagnato gli inizi di Pino Daniele e i tour storici di Edoardo Bennato si racconta: dall'infanzia bullizzata ai successi musicali
9 maggio 2025
Il "percussautore" Tony Cercola mentre suona le sue "buatte", le scatole di caffè che ha ideato negli anni '70 - (Foto Riccardo Piccirillo)
Il "percussautore" Tony Cercola mentre suona le sue "buatte", le scatole di caffè che ha ideato negli anni '70 - (Foto Riccardo Piccirillo)
“Napule è mille colori”, lo conferma la vita vulcanica, da nomade del Vesuvio, del percussionista, anzi, “percussautore” Tony Cercola. Un piccolo grande uomo abitato dalla musica, quella napoletana che da sempre abbraccia il mondo intero. Il suo cuore, molto più grande della statura da Danny DeVito partenopeo («ho fatto anche l’attore grazie a Pupi Avati, ero il gelataio in La quattordicesima domenica del tempo ordinario», sottolinea a petto in fuori) segue il ritmo frenetico delle buatte, i tamburi artigianali che fabbrica con i barattoli del caffè da quando scugnizzo si aggirava, ieri come oggi, nei vicoli di Cercola. Comune al margine dell’area metropolitana di Napoli dove 70 anni fa all’anagrafe venne registrato come Antonio Esposito. Famiglia operaia gli Esposito, da salti mortali per arrivare alla fine del mese. E per il piccolo Tony, equilibrista sulle buatte, Napoli allora era lontana da casa, quanto la possibilità di diventare qualcuno suonando barattoli.
La gavetta e i sogni del futuro "percussautore" lanciato da Sandro Petrone​«Due pullman per arrivare a Napoli e io ero un puntino davanti a quella città che mi appariva immensa. Piccolo di statura e balbuziente, a scuola mi bullizzavano quelli più alti e più forti, praticamente tutta la classe, che si consideravano “normali” rispetto a me che, secondo loro, pazziavo: rullavo sui banchi i miei primi ritmi. E quelli siccome non amavano la musica, ma neanche tanto la vita, mi insultavano e mi rubavano la colazione…». La musica ribelle lo ha salvato dagli assalti frontali del branco. «Suonavo la batteria da autodidatta. Il professor Antonio Bonomo mi sentì e disse: «Non venire al Conservatorio perché perderesti tempo». Aveva capito che ero un cane sciolto. A 16 anni ascoltavo i Led Zeppelin e i Genesis e tutto il rock che passava alla radio l’unica trasmissione che c’era ai tempi e non a caso si chiamava Per voi giovani », condotta da Carlo Massarini. Così scrissi alla redazione Rai di via Asiago 10 e mi presentai a Roma. Raffaele Cascone, napoletano geniale, mi diede la possibilità di andare in onda e un consiglio: “Lascia la batteria e concentrati sulle percussioni”. Così feci, c’aveva visto lungo». Ma più lungo di tutti, per lui vide e provvide Sandro Petrone. «Un fratello Sandro, incontrarlo mi ha cambiato la vita e anche il nome. Petrone, che poi è diventato un grande inviato di guerra della Rai, lo conobbi grazie al mio amico poeta Antonio Russo, che non sente e non vede ma ci parliamo ancora tutti i giorni dal pc. Allora Antonio mi diede il numero di quel giovane favoloso che a Napoli aveva aperto una delle prime radio libere e voleva fare il cantautore (Petrone pubblicò anche tre dischi). Sandro mi diede appuntamento al Vomero e quello fu un incontro tra opposti: lui alto dell’alta borghesia, io piccolo del piccolo proletariato. Sandro mi squadrò e mi disse: “C’è già un Tony Esposito percussionista, tu ti chiamerai Tony Cercola, farai il “percussautore” e suonerai con Edoardo Bennato». Aveva previsto tutto e lo ha fatto fino alla fine. Mannaggia - dice emozionato - , Sandro se ne è andato troppo presto, a 66 anni, nel 2016».
Gli inizi con Pino Daniele e poi la svolta: i tour con Edoardo Bennato e quella volta con Dario FoCome da sua profezia però, prima di entrare nella band di Edoardo Bennato ci fu un breve ma intenso tratto al seguito di Pino Daniele. «Tullio De Piscopo scoprì Pino Daniele grazie a suo padre. Batterista anche lui e talent scout una sera del 1977 in tv vide un ragazzone con la chitarra e uno piccolo che suonava le buatte e disse al figlio che doveva assolutamente conoscerci. Tullio è rimasto sempre al fianco di Pino e rispetto a quelli di Napoli Centrale che mi bullizzavano anche loro, ha sempre creduto in me. Grazie a Tullio andai in tour al Festival jazz di Montreaux, ebbi modo di suonare con mostri come Don Cherry e Billy Cobham e portai le buatte nel programma Rai di Beppe Grillo Te lo do io il Brasile in cui conobbi un grande della tv oltre che un gran signore, il regista Enzo Trapani». Tony cresce, almeno in popolarità e nei dieci anni di tour negli stadi d’Italia e d’Europa con Edoardo Bennato diventa il percussionista più originale sulla scena nazionale, grazie anche quelle scatolette di caffè tenute assieme con lo scotch, la “cassetta drums” con cui, a differenza del collega Tony Esposito, accompagna il suono ritmato con un canto che segue il suo groove afromediterraneovesuviano, che comprende anche il “lumumbese”. «Cos’è? -sorride – È una lingua fantomatica che mischia tutto, napoletano, latinoamericano, africano. Il lumumbese lo inventammo con Gino Macurno, produttore e autore di hit di successo come Viva la mamma di Edoardo Bennato ». Il lumumbese sale a nord e quel pastiche di suoni e parole conquista il re del grammelot, Dario Fo. «Lo avevo conosciuto con il gruppo napoletano Nacchere Rosse con cui facemmo Garofano Schiavone un disco di rap popolare, una Bocca di rosa vesuviana che è un’antica preghiera alla Madonna. Un Nobel come Fo aveva apprezzato tanto la mia musica, perché sentiva che arrivava dal basso, dal popolo».
"Dieci dischi pubblicati, uno diverso dall'altro. E quelli che mi bullizzavano oggi mi scrivono che sono il loro mito"​Musica che è finita nei suoi dieci dischi, «uno diverso dall’altro» incisi da solista a partire dal 1987. «L’anno del contratto con la Virgin. La più grande emozione della mia vita fu quando vidi girare la puntina e ascoltai la mia voce da quel 45 giri intitolato Brigamo. L’aveva prodotto Giorgio Zito, il fratello di Edoardo e Eugenio Bennato, che povero morì giovane». I giovani, quelli dell’Arena del Festivalbar scoprirono Tony Cercola l’estate del ’90. Nele Notti magiche del Mondiale italiano cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, lui spopolava con un pezzo tormentone, Babbasone. «’O Babbasone è il tipo che piace alle mamme che fanno uscire le figlie con lui tanto possono stare tranquille. Quella canzone, che scrissi con Gino Macurno, me la ispirò un bravo guaglione, Vincenzo, un giorno che lo sentì dire al telefono: “Sto parlando con mammà!”. Quell’estate con Babbasone feci ballare tutta l’Italia. Diventai un fenomeno nazionalpopolare per poi tornare subito nella mia dimensione naturale, piccola, di percussautore di nicchia». Formidabili tutti quegli anni ’80 e inizi ’90 nella Napoli della musica e di Diego Armando Maradona. «Quando mi sono esibito alla sua premiazione alla serata dell’Atleta d’oro mi si ruppe l’asta, ma continuai a suonare lo stesso. Alla fine Diego si avvicinò e mi disse: “Ho visto come hai suonato, con una mano sola, sei un fuoriclasse”. Più di una volta ho suonato con Careca che allora era un percussionista in erba. Con Diego venni invitato alla trasmissione Blitz da Gianni Minà che quando anni dopo mi chiese un ricordo di Maradona gli dissi che per me rimarrà per sempre “l’ultimo dei teneri”. Il cuore altrettanto tenero di Tony Cercola si spende per quelli che non hanno voce e che sono le vittime sacrificali di questo eterno messico napoletano narrato dal suo amico Beppe Lanzetta. «Ho insegnato a suonare le buatte ai ragazzi down facendo percussoterapia. Ho portato il mio “Ritmo creation” nelle carceri. A Poggioreale ho ritrovato tanti di quelli che da ragazzino mi bullizzavano e che sentendomi suonare mi hanno abbracciato come un fratello e scritto lettere in cui dicevano: “Scusa Tony… oggi per noi sei un punto di riferimento”».

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