Partecipazione. Il diritto di contare. Perché stavolta conviene votare al referendum

di 
Sergio Cirinà
Il diritto di contare
8 maggio 2025
Solo un diritto o non anche un dovere del cittadino? Una possibilità - alla quale dunque potersi pure sottrarre - o una sorta di obbligo quantomeno morale, se non proprio giuridico? Oppure più semplicemente un’occasione da cogliere.Il voto per la consultazione referendaria dell’8-9 giugno ha già prodotto divisioni e acceso la polemica sul suo esercizio, prima e più ancora che sul contenuto dei 5 quesiti proposti. Soprattutto dopo che Forza Italia si è pronunciata chiaramente per l’astensione. Provocando l’immediata reazione delle opposizioni che hanno gridato allo scandalo per l’invito a disertare le urne da parte di forze di governo. Dimenticando che analoga posizione è stata assunta in passato anche da esponenti di partiti che fanno parte del loro “albero genealogico”. Perché, nel caso dei referendum, la scelta elettorale si esercita prima ancora che con la matita in mano, anzitutto con le gambe, recandosi o meno alle urne. Per dirla meglio, la Costituzione prevede espressamente all’articolo 75 che – a differenza delle elezioni – affinché il referendum sia valido e non nullo è necessario che si esprima la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Sono tre dunque le modalità di espressione della propria volontà riguardo ai referendum: votare sì, votare no o non esprimersi e così concorrere alla sua nullità. Scelte tutte e tre legittime da esercitare. Su questo aspetto la polemica è solo un esercizio retorico. Il nodo è piuttosto quello dell’opportunità della scelta dell’astensione o della partecipazione attiva. E questa non si misura tanto sul piano giuridico, ma ha molto più a che fare con la materia specifica dei quesiti e con le condizioni generali del Paese.
Per non nascondersi dietro un dito, proprio questo giornale fu protagonista, giusto 20 anni fa, di una campagna a favore dell’astensione nel referendum sulla legge 40 che regola la fecondazione assistita. Lo slogan era: “Sulla vita non si vota” e voleva sottolineare come la materia – molto complessa e dalle enormi implicazioni morali riguardo la generazione e l’umano – non andasse “riscritta” con la matita copiativa, ma conservata nella sua forma originale, scaturita da un lungo discernimento, dibattito e confronto in Parlamento. Non era certo una “legge cattolica” in linea con la Dottrina della Chiesa, quanto un laico compromesso che teneva in un equilibrio accettabile principi e nuove esigenze sociali. In quell’occasione perciò invitare a non votare assumeva l’obiettivo di difendere la norma allora esistente e insieme il “metodo” di democrazia rappresentativa con il quale si era arrivati a regolamentare un tema fondamentale e controverso.
E oggi? Siamo oggettivamente di fronte a una situazione diversa. Innanzitutto, le leggi ora sottoposte a consultazione referendaria riguardano materie certamente importanti, non però di portata antropologica. E i quesiti più che stravolgere le norme si limiterebbero a cambiarne alcuni tratti temporali o aspetti di regolamentazione. Non siamo di fronte a scelte etiche fondamentali ma a questioni appunto di mera opportunità. È bene accorciare i tempi per la cittadinanza agli stranieri? È giusto e utile reintrodurre parzialmente la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo? I contratti a termine devono essere limitati da una causale? La responsabilità sugli infortuni va estesa anche alle società appaltanti? Nel merito, il giudizio può essere diverso da quesito a quesito.
Ci sono però tre ulteriori considerazioni che, secondo noi, questa volta depongono a favore della partecipazione alla consultazione, a prescindere che si sostenga il sì o il no. La prima, e più importante, è quella di evitare di alimentare l’astensione che sta crescendo in maniera decisa in tutte le ultime tornate elettorali, a livelli assai superiori a quelli di 20 anni fa. Oggi esiste il rischio concreto che il non-voto si consolidi in un generale disimpegno dai tratti preoccupanti per la democrazia. E che venga ulteriormente svalutato uno strumento fondamentale di democrazia diretta qual è il referendum. La seconda è che (pur ritendo a livello personale non utili alcune modifiche al Jobs Act) il mancato raggiungimento del quorum andrebbe a tutto danno dei lavoratori dipendenti. Aggravando ulteriormente il loro già scarso peso politico, la loro rilevanza. Una considerazione simile vale per il quesito sulla cittadinanza, in cui tra l’altro ci si esprime o meno sul futuro di persone che non possono farlo perché non godono del diritto di voto.
Questa volta allora meglio scrivere dei sì e dei no. Alzare le spalle e restare indifferenti, rendendo tutta la consultazione nulla, non conviene a nessuno. Teniamoci stretta la possibilità di contarci, il diritto di contare

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