La riflessione. L'eredità profetica di papa Francesco: perché la pace non è un'utopia

di 
Sergio Cirinà
Non archiviate la pace. Non tacete. Non lasciate che resti solo un tema da omelie domenicali. È troppo tardi per essere prudenti e troppo presto per essere rassegnati...
2 maggio 2025
La Carovana della pace dei ragazzi di Azione Cattolica a San Pietro il 26 gennaio 2025 - @ SICILIANI
La Carovana della pace dei ragazzi di Azione Cattolica a San Pietro il 26 gennaio 2025 - @ SICILIANI
L’interesse del mondo per chi sarà il successore di papa Francesco è, in fondo, un buon segno. Le preghiere silenziose delle comunità claustrali si mescolano alle simpatiche scommesse da bar, al mormorio curioso del popolo di Dio, alla buona attesa della gente di Roma e oltre. Ma accanto a questo spirito autentico, ci sono anche il chiacchiericcio, le pressioni, i messaggi in codice destinati a “chi deve capire”, le lobby e gli interessi mondani. E così, il cuore del pontificato rischia – ma non accadrà – di essere archiviato con leggerezza, banalizzato o ridotto a slogan. Specialmente riguardo all’impegno per la pace.
Si sente dire: “Francesco aveva un debole per la pace” oppure: “Che cosa volevate che dicesse? Ha semplicemente fatto il Papa”. Affermazioni che sembrano innocue, ma che in realtà disinnescano la portata rivoluzionaria di un ministero. No, il Papa non ha avuto “un pallino” per la pace. Il Papa – ogni Papa, e quindi anche Francesco – incarna una parola che viene dal Vangelo, lo fa come uomo e come capo di una comunità umano-divina. Non si tratta di un’opinione personale né di un’idea pastorale un po’ troppo insistente: la pace è il cuore stesso del Vangelo.
È una memoria viva della storia della Chiesa. Papa Francesco ha semplicemente raccolto una fiaccola che altri prima di lui hanno tenuto accesa. San Giovanni XXIII lo scrisse nella Pacem in terris, rivolgendosi a «tutti gli uomini di buona volontà». San Paolo VI gridò all’Onu: «Mai più la guerra!». San Giovanni Paolo II camminò tra le macerie con la croce in mano, e Benedetto XVI ricordò che non c’è pace senza verità e giustizia, iniziando dalla Chiesa. Francesco ha tolto il punto esclamativo e ha messo i piedi nel fango: Ucraina, Terra Santa, Sudan, Mediterraneo. E ora ci guarda – sì, ci guarda – e ci chiede una cosa sola: non archiviate la pace. Non tacete. Non lasciate che resti solo un tema da omelie domenicali. È troppo tardi per essere prudenti e troppo presto per essere rassegnati. Da una parte c’è chi liquida questa insistenza come una “fissazione” ecclesiale, perché “c’è tanto altro da fare”. Dall’altra, chi la vanifica dicendo, appunto: “Francesco non faceva nient’altro che il Papa, non ha poteri, non è un capo di Stato, facile!”.
Fare il Papa: in certe accezioni fuorvianti potrebbe sembrare un mestiere, tant’è che si candidano anche personaggi con nuovi curriculum ritenuti idonei. Due narrazioni che normalizzano la profezia e la degradano a utopia, mentre si fanno paladine di un “sano realismo” il cui fallimento è ormai evidente. Viviamo in un mondo che si occupa di pace solo in funzione della guerra: quando sta per scoppiare (per armarsi), quando è scoppiata (come invocazione sterile), quando è finita (per dimenticarla). E poi ci chiede con cinismo: “E voi, che fareste?”.
La risposta è disarmante: faremmo – anzi, cerchiamo di fare – quello che ogni giorno ha ripetuto quel “fissato” di Papa Francesco, e prima di lui, quei “fissati” dei suoi predecessori. Relegare le parole e i gesti dei Papi sulla pace a livello spirituale, come una gentile ovvietà, svuota la forza dirompente del Vangelo, riducendolo a una religione civile. Ma il Vangelo è ben altro: è l’anima dell’umano, in ogni suo aspetto – civile, economico, politico – e chiede conto a ciascuno di essere incarnato con coerenza nel proprio operato.
La risposta è disarmante: faremmo – anzi, cerchiamo di fare – quello che ogni giorno ha ripetuto quel “fissato” di Papa Francesco, e prima di lui, quei “fissati” dei suoi predecessori. Relegare le parole e i gesti dei Papi sulla pace a livello spirituale, come una gentile ovvietà, svuota la forza dirompente del Vangelo, riducendolo a una religione civile. Ma il Vangelo è ben altro: è l’anima dell’umano, in ogni suo aspetto – civile, economico, politico – e chiede conto a ciascuno di essere incarnato con coerenza nel proprio operato.

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