Perché non dimenticheremo Inter-Barcellona
di
Davide Tizzo
Il 4-3 in rimonta dei nerazzurri sui Barça è stato il secondo atto di una sfida da spaghetti western. Ora il nostro calcio ha un patrimonio internazionale

I millennials interisti, e non solo, non dimenticheranno mai, per loro la partita del secolo che rimarrà scolpita nella memoria collettiva generazionale sarà Inter-Barcellona 4-3 del 6 maggio 2025. Anzi Inter-Barcellona 7-6. Sì perché quello che qualcuno ha già ribattezzato “miracolo a Milano”, il 4-3 in rimonta dei nerazzurri sui Barça, è stato il secondo atto di una sfida da spaghetti western, titolo “Per un gol in più”. Il primo round a Barcellona era finito 3-3, pari e patta con una trama da film d’azione, più che un western di Sergio Leone. Copioni ricalcati, pur andando a braccio, anzi di piede, destro, sinistro, colpi di testa e niente sputi all’avversario, perché diciamocelo, ha vinto l’Inter ma anche il fairplay di tutti i protagonisti in campo. Comunque, nelle due commedie dell’arte è sempre andata avanti l’Inter di 2 gol, poi il Barcellona ha recuperato e nella fase calda del film ha fatto entrare in scena la banda Yamal. Prima osservazione dalla regia: il calcio si conferma essenzialmente il simbolo assoluto del gioco di squadra. Tu puoi avere in campo il miglior talento del mondo, il 17enne Lamine Yamal (un Pelè in fieri, solo il tempo ci dirà se è così), i migliori giovani della cantera catalana (Pedri, Torres, Martinez) ma alla fine la differenza la fa sempre la squadra, il gruppo. E quello di Simone Inzaghi è un gruppo che sa sempre quello che deve fare, anche quando non vince. Dopo le circa 60 battaglie stagionali, con tre variazioni sul tema, campionato, Coppa Italia e Coppa europea, stacca il pass per la finale di Champions. Quella del 31 maggio sul campo del Bayern Monaco già rispedito a casa ai quarti dall’Inter sarà la terza finale in tre anni di Simone Inzaghi. I suoi detrattori instabili, quelli che sul suo conto cambiano idea ogni quarto d’ora di gioco, gli rinfacciano uno scudetto perso (quello vinto dal Milan di Pioli) e un altro mezzo sfumato che al momento è nei piedi del Napoli di Antonio Conte che ha 3 punti di vantaggio a 270 minuti dalla fine del torneo. Ma in Europa la sua Inter è un orgoglio nazionale, anzi Internazionale.
Nelle due sfide contro il Barça abbiamo visto il meglio che questo sport possa offrire al suo pubblico specie a quello della nostra Repubblica fondata sul pallone. Un repertorio di arte varia a cominciare dalla materia essenziale per continuare a sognare un calcio più umano e più vero: le emozioni. Abbiamo assistito a 10 partite concentrate nell’arco di 210 minuti adrenalinici. Abbiamo visto cose che gli umani della Champions non fanno o almeno non a questi livelli. Gol a grappoli per un “13” finale, appunto 7-6. Tiri scagliati da ogni latitudine come saette olimpiche piovute dal cielo di Eupalla. Parate da cineteca dei due portieri, specie quelle dell’interista Yann Sommer. Una guardia svizzera alabardata a difesa della porta nerazzurra. Una saracinesca Sommer che minaccia da mesi l’addio al calcio, ma prima, a 36 anni vorrebbe alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. I detrattori bipolari di Simone Inzaghi, che ovviamente oggi dopo l’impresa lo esaltano come la reincarnazione del “Mago” Helenio Herrera, fino al 2-2 gli rinfacciavano a brutto muso di allenare una “rsa” visti gli over 30 come Çalhanoğlu, l’armeno Mikhitarian classe 1988 coscritto di Sommer e Acerbi. Il prode e cristianissimo centrale difensivo Francesco Acerbi al 93’ della partita del secolo ha sfoderato un gol da bomber, quello dell’insperato 3-3 che forse neppure Lautaro Martinez sarebbe riuscito a realizzare in quello stato da cardiopalma. Chapeau comunque al “toro” Lautaro che a testa bassa e con una gamba sola ha segnato un gol, il primo e strappato il rigore del raddoppio. Un piccolo Maradona che se dovesse conquistare la Champions a 25 anni tra Inter e nazionale argentina ha già vinto tutto. Così come da dirigente salendo sul tetto d’Europa non avrebbe più nulla da chiedere neanche il decano Beppe Marotta. L’onorevole MBeppè, il presidente dell’Inter che sogna un futuro da politico (“premier subito” dicono gli interisti illuminati o “Presidente del Senato al posto del nerazzurro Ignazio La Russa”, urla l’ala riformista) al momento del rigore di Çalhanoğlu ha abbassato lo sguardo per paura che lo sbagliasse, poi si è lasciato andare a una gioia giovanile alla trasformazione di un 2-0 che sembrava la fine dell’incubo.
Nelle due sfide contro il Barça abbiamo visto il meglio che questo sport possa offrire al suo pubblico specie a quello della nostra Repubblica fondata sul pallone. Un repertorio di arte varia a cominciare dalla materia essenziale per continuare a sognare un calcio più umano e più vero: le emozioni. Abbiamo assistito a 10 partite concentrate nell’arco di 210 minuti adrenalinici. Abbiamo visto cose che gli umani della Champions non fanno o almeno non a questi livelli. Gol a grappoli per un “13” finale, appunto 7-6. Tiri scagliati da ogni latitudine come saette olimpiche piovute dal cielo di Eupalla. Parate da cineteca dei due portieri, specie quelle dell’interista Yann Sommer. Una guardia svizzera alabardata a difesa della porta nerazzurra. Una saracinesca Sommer che minaccia da mesi l’addio al calcio, ma prima, a 36 anni vorrebbe alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. I detrattori bipolari di Simone Inzaghi, che ovviamente oggi dopo l’impresa lo esaltano come la reincarnazione del “Mago” Helenio Herrera, fino al 2-2 gli rinfacciavano a brutto muso di allenare una “rsa” visti gli over 30 come Çalhanoğlu, l’armeno Mikhitarian classe 1988 coscritto di Sommer e Acerbi. Il prode e cristianissimo centrale difensivo Francesco Acerbi al 93’ della partita del secolo ha sfoderato un gol da bomber, quello dell’insperato 3-3 che forse neppure Lautaro Martinez sarebbe riuscito a realizzare in quello stato da cardiopalma. Chapeau comunque al “toro” Lautaro che a testa bassa e con una gamba sola ha segnato un gol, il primo e strappato il rigore del raddoppio. Un piccolo Maradona che se dovesse conquistare la Champions a 25 anni tra Inter e nazionale argentina ha già vinto tutto. Così come da dirigente salendo sul tetto d’Europa non avrebbe più nulla da chiedere neanche il decano Beppe Marotta. L’onorevole MBeppè, il presidente dell’Inter che sogna un futuro da politico (“premier subito” dicono gli interisti illuminati o “Presidente del Senato al posto del nerazzurro Ignazio La Russa”, urla l’ala riformista) al momento del rigore di Çalhanoğlu ha abbassato lo sguardo per paura che lo sbagliasse, poi si è lasciato andare a una gioia giovanile alla trasformazione di un 2-0 che sembrava la fine dell’incubo.
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