Il nuovo Papa. Pietro ritorna, nel segno dell'umiltà: ecco la speranza che ci sorprende
di
Sergio Cirinà
Pietro ritorna

Pietro è tornato, si chiama Leone XIV. Del 267esimo Vescovo di Roma ha colpito prima il silenzio disteso, una eco di desiderio e grazia, quasi la Chiesa intera trattenesse il fiato insieme a lui. Poi il gesto di saluto, a due mani, accompagnate dal sorriso delicato. Le prime parole, infine: «La pace sia con tutti voi». Ed è allora che Robert Francis Prevost, il nuovo Papa, è apparso davvero. Non come un annuncio, ma come presenza: un volto, una voce. E l’invocazione: «Sia una pace disarmata e disarmante, umile, che proviene da Dio, che ci ama tutti incondizionatamente». Tutti.
Che sorpresa. E quale straordinaria prova di comunione, dai cardinali in Conclave. Come la nascita di ogni vita cambia il senso del mondo – rendendolo sempre diverso – così il successore di Pietro porta una Chiesa nuova. Un Papa viene da un’elezione, certo, ma è più di un eletto.
È un’epoca che si apre, un respiro che si rinnova. I cardinali con il loro voto segreto hanno scelto un uomo, agostiniano nato a Chicago e missionario in Perù, e con lui hanno convocato anche il mondo e le sue attese disilluse, le tante domande senza risposte. Nella voce calda del nuovo Papa pare di avvertire questo carico immane, insieme alla consapevolezza di un totale servizio per risvegliare le coscienze – quanto ne abbiamo bisogno.
Certo, colpisce ancora una volta la rapidità della decisione: meno di ventiquattro ore. In questo tempo sempre più frammentato e irrisolto – in fondo, lo siamo tutti noi – la Chiesa ha sentito di non poter restare per troppo tempo senza padre. Ai funerali di Bergoglio, ha ricordato un cardinale, questo soprattutto chiedeva la gente: dateci un padre.
Ora, Santo Padre, ci è restituito il tempo del camminare insieme. E se questo tempo nuovo si apre, gravido di attese, è anche grazie al sentiero tracciato in assoluta continuità di sostanza dagli ultimi “costruttori di ponti”, ciascuno con il suo stile radicato nel Vangelo: San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. E Francesco, il Papa più vicino che per ultimo ha testimoniato la misericordia come manifestazione della verità, la fraternità come stile di governo, la prossimità come grammatica dell’annuncio. Ci ha anche ricordato, ancora una volta, che al centro della fede, prima di ogni agire, c’è l’incontro con il mistero del Dio fattosi uomo: il Vescovo di Roma è anzitutto colui che conferma nella fede i fratelli, e lo fa guidando la barca di Pietro.
Non sappiamo ancora tutto di papa Leone XIV, ma lo Spirito, ne abbiamo avuto conferma ieri, sa parlare anche attraverso la sorpresa. E la sorpresa, nella Chiesa, è spesso il modo in cui la speranza si fa carne: una speranza che sorprende.
In un tempo logorato dalla prevedibilità e in cui l’algoritmo anticipa la parola, il Papa non è una predizione: è una chiamata. A volte scomoda, sempre radicale. È l’inizio di qualcosa che ancora non capiamo, ma che – se sapremo ascoltare – ci aiuterà a vedere.Ci sono le attese dei credenti che, attraverso i cardinali, hanno chiesto soprattutto unità e un pastore per cercarla. Ci sono le riforme e il Sinodo da completare, il Giubileo da celebrare. E ci sono le attese del mondo, che solo dieci giorni fa ha visto i cosiddetti “potenti” riuniti a Roma. Un mondo così diviso, lacerato e rigonfio di violenza. Un mondo impaurito che pare avere un gran bisogno di un Papa. «Senza paura», ha ripetuto due volte Prevost.
Ciascuno si aspetta qualcosa da una delle poche autorità morali rimaste in quest’epoca senza autorevolezza. Ma le domande dipendono dagli sguardi che le accompagnano. E non sempre sono sguardi limpidi, anzi, troppe volte interessati, “sguardi di sorvolo” che proiettano etichette, categorie o richieste improprie. Forse conviene assumere il vedere dritto dei semplici, più che quello di chi già sa o crede di sapere. E fidarsi.
Ciascuno si aspetta qualcosa da una delle poche autorità morali rimaste in quest’epoca senza autorevolezza. Ma le domande dipendono dagli sguardi che le accompagnano. E non sempre sono sguardi limpidi, anzi, troppe volte interessati, “sguardi di sorvolo” che proiettano etichette, categorie o richieste improprie. Forse conviene assumere il vedere dritto dei semplici, più che quello di chi già sa o crede di sapere. E fidarsi.
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