Quanto è difficile imparare nell'epoca dell'intelligenza artificiale
di
Davide Tizzo
Affiancando i colleghi più esperti, da sempre i principianti riescono ad acquisire tecniche cruciali: molte imprese, però, oggi puntano sull’automazione. A rischio le capacità critiche e di pensiero

Pensate alla vostra abilità più preziosa, quella che vi permette di essere affidabili anche sotto pressione quando dovete ottenere risultati. Come l’avete imparata? Qualunque sia la vostra professione – idraulico, giornalista, insegnante, chirurgo, avvocata – decenni di ricerche dimostrano che questa padronanza si raggiunge lavorando con qualcuno che ne sa più di noi.
Questa è la teoria del tecnologo americano Matt Beane: scuola e libri forniscono le necessarie conoscenze concettuali per l’apprendimento formale, ma per imparare a lavorare sotto pressione sono necessarie abilità professionali che possono svilupparsi solo nella dialettica e nel confronto con un collega, un coordinatore, un capo più esperto e motivato a trasmettere il suo sapere. «Osservando una persona esperta per un po’ di tempo, venendo coinvolti nelle fasi più semplici e sicure del lavoro, passando a compiti più difficili e rischiosi sotto la sua guida e, infine, facendo da guida ad altre persone. In chirurgia questo processo si chiama «see one, do one, teach one, osserva, esegui, insegna» ha scritto Matt Beane nel suo ultimo libro Il Dna delle competenze (editore Egea). Che si tratti di idraulica, ostetricia o falegnameria, di un’aula delle elementari o di un laboratorio di fisica delle particelle, è sempre lo stesso processo di apprendimento, uguale a sé stesso dai tempi antichi.
Oggi questo legame essenziale viene minacciato dall’avvento di strumenti di intelligenza artificiale e macchine-robot in ambito lavorativo: quale sarà il loro impatto nel futuro? A rispondere è stato direttamente il tecnologo americano, che è professore associato del dipartimento di Technology Management dell’Università della California, ma anche Digital Fellow al Digital Economy Lab di Stanford e all’Initiative on the Digital Economy del MIT. «Le moderne forme di automazione e condivisione delle informazioni permettono a un singolo lavoratore di risolvere problemi complessi in modo autonomo», spiega il professore americano. Ma ci sono diverse conseguenze: gli output generati automaticamente dagli assistenti di intelligenza artificiale, come Copilot o Gemini o ChatGpt, possono offrire soluzioni a problemi sul lavoro. «Questo può portare a una riduzione delle sfide sia per chi è considerato un principiante, all’inizio della propria carriera lavorativa, sia per chi ha già grande esperienza: per i principianti il rischio è che le loro competenze diventino superflue. Gli esperti, invece, possono avanzare rapidamente e risolvere l’intero problema da soli con l’IA. Gli esperti adorano questa possibilità: sono stati formati per affrontare problemi complessi. Anche le aziende ne traggono vantaggio: più un esperto risolve problemi in modo efficiente, migliore è il ritorno sugli investimenti. Tuttavia, i principianti vengono esclusi dal processo e perdono l’opportunità di acquisire esperienza, assistendo un esperto» ha aggiunto Beane. D’altra parte, anche gli esperti potrebbero perdere stimoli sul lavoro, perché ricevono risposte automatiche ed esaustive senza alcuno sforzo.
Con l’automazione basata su modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), arrivano al risultato finale molto più velocemente. Ma questo significa anche che dedicano meno tempo all’esplorazione di opzioni alternative e a nuove modalità di pensiero, oltre a non dover affrontare direttamente le fasi più critiche del lavoro. Questa riduzione delle sfide può minacciare il mantenimento delle loro competenze.
Dunque, il nodo centrale è utilizzare gli strumenti di intelligenza artificiale e le nuove tecnologie e al tempo stesso preservare la sfida, la complessità e la connessione necessarie all’apprendimento. «Sfida (in inglese, Challenge, ndr) significa lavorare ai propri limiti. Complessità è comprendere la visione d’insieme. Connessione significa costruire rapporti di fiducia e rispetto. Come i quattro nucleotidi del Dna, queste tre “C” rappresentano i mattoni fondamentali dell’apprendimento delle competenze più preziose. Sono presenti nel percorso di ogni persona verso la padronanza e nel modo in cui aiutiamo gli altri a svilupparla. Ma conoscere questi elementi è solo l’inizio – ha aggiunto Beane –. Come è successo con la genetica, ora dobbiamo capire come applicare questo codice per migliorare il nostro modo di lavorare e apprendere, subito». Per fare questo, secondo il tecnologo, «ci sono due strategie fondamentali: ridefinire il lavoro affinché l’uso delle nuove tecnologie intelligenti migliori lo sviluppo delle competenze più di quanto accadesse in passato. Un esempio interessante proviene da un ambito particolare: lo smaltimento degli ordigni esplosivi. Prima dell’introduzione dei robot, un tecnico doveva avvicinarsi all’ordigno con una tuta protettiva, mentre il collega meno esperto rimaneva a centinaia di metri di distanza, senza possibilità di apprendere direttamente. Con l’introduzione dei robot, invece, entrambi i tecnici possono operare fianco a fianco in un camion protetto, con il principiante che controlla i comandi e l’esperto che lo guida verbalmente. In questo modo, l’apprendimento è molto più efficace».
È possibile con le nuove tecnologie che stiamo adottando migliorare le competenze sul lavoro? Secondo Beane, sì, «sviluppando sistemi basati sull’IA che collaborino proattivamente con gli esseri umani per migliorare lo sviluppo delle competenze. Per esempio, un sistema potrebbe facilitare l’abbinamento tra esperti e principianti nei progetti più adatti per la formazione. Oppure potrebbe permettere ai principianti di osservare in tempo reale il lavoro degli esperti. Potrebbe persino fornire suggerimenti per rendere le interazioni con gli esperti più mirate e produttive. Dobbiamo sfruttare queste opportunità».
Quello che vediamo finora, però, è che nel nome della produttività, le organizzazioni e gli esperti stanno adottando l’automazione e l’IA, in modi che riducono il coinvolgimento significativo di milioni di lavoratori nell’economia globale: secondo Beane in questa maniera si rischia non solo di perdere le competenze tecniche delle persone. «Pensiamo a cosa accade alla cultura di un ospedale quando viene meno la collaborazione tra esperti e principianti: si riduce l’insegnamento e l’apprendimento, ma anche le opportunità di crescita professionale, poiché i chirurghi tendono a sostenere meno i medici in formazione. Quale sarà l’impatto sull’innovazione nelle pratiche chirurgiche? Sarà limitata, perché le scoperte fatte dai colleghi potrebbero essere soffocate da prestazioni chirurgiche sempre più focalizzate ed efficienti, guidate esclusivamente dagli esperti. E per quanto riguarda la capacità di soddisfare l’aumento della domanda di interventi chirurgici? Nel breve termine, si possono trattare più pazienti, ma nel medio periodo sarà difficile stare al passo, poiché il bacino di nuovi talenti si restringerà.
Ogni settore e professione affronterà questa problematica con tempistiche e strategie diverse. Tuttavia, le organizzazioni non percepiranno il problema in modo diretto: accumuleranno progressivamente costi più elevati per la formazione e ridurranno il tempo fatturabile o produttivo, creando una burocrazia per gestire questo divario di competenze – conclude il professore americano –. Senza una correzione tempestiva e mirata, questa nostra crisi delle competenze ci costerà miliardi di dollari».
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