Incertezza e fattore tempo: così i dazi di Trump minano l'economia Usa
di
Davide Tizzo
Il presidente punta alla re-industrializzazione, che ha tempi lunghi e si scontra con la mancanza di manodopera. Goldman Sachs abbassa le stime di crescita, mentre Wall Street è già in correzione

C’è un fattore chiave al quale nessuno, nemmeno Donald Trump, può pensare di sfuggire: il fattore tempo. E c’è un elemento con il quale nessuno, tanto meno Donald Trump, può pensare di giocare: l’incertezza. Il tempo a disposizione e l’incertezza sono esattamente le due variabili con il quale il presidente Usa rischia di scottarsi. Perché in questo infinito e stucchevole tira e molla sui dazi, sui posti di lavoro tagliati e poi ripristinati, sui rapporti di forza con Paesi vicini, presunti alleati e potenze rivali, c’è sempre qualcosa di cui la Casa Bianca non può fare a meno di considerare: l’economia reale e i mercati finanziari. Main Street e Wall Street, insomma. Che dopo la prima euforia di crescita seguita all’elezione del repubblicano, cominciano a fare i conti con le conseguenze della sua altalena umorale. Quanto tempo concederanno gli americani a un presidente che in meno di due mesi sembra aver capovolto prospettive di crescita che ancora nel 2024 hanno fatto degli Usa il motore economico globale? E quanta incertezza sopporteranno non solo i mercati e gli investitori, ma anche imprenditori e famiglie, indecisi se programmare piccoli e grandi investimenti, davanti al togli e metti dei dazi, alla scure sui contratti governativi agitata da Elon Musk e alla mancanza di politiche economiche coerenti?

Giovedì l’indice azionario S&P 500 è sceso sotto al 10 per cento dal suo picco di un mese fa: i tecnici parlano di “correzione”, di fatto il segnale del crescente pessimismo degli investitori davanti agli instabili pronunciamenti di Trump. Perché gli investitori sono abili nel destreggiarsi davanti a qualsiasi politica governativa, anche davanti ai dazi, al necessario aumento dei prezzi, al licenziamento di massa dei dipendenti federali. Ma l’incertezza che pervade il mercato azionario è l’elemento che gli investitori faticano a prezzare, incentivando così la perdita di slancio del mercato rialzista dell’ultimo biennio.

E’ la stessa incertezza che pervade Main Street, l’economia reale Usa. Al di là del braccio di ferro politico con l’Ue, la Cina, il Messico e il Canada, i dazi di Trump hanno, nella prospettiva del presidente, l’obiettivo di una reindustrializzazione degli Stati Uniti che rischia di non tenere in conto non solo dei tempi lunghi di un simile processo, ma anche della contrapposizione tra la necessità di manodopera e le politiche anti-migratorie dello stesso Trump. Se re-industrializzare può creare posti di lavoro, e quindi consumi e investimenti, quali misure intende adottare Trump a parte i dazi? E quale livello di rialzo dei prezzi e di frenata dell’economia gli americani saranno intanto disposti ad accettare e per quanto tempo? Di più, davanti a un tasso di disoccupazione al 4,1%, come avere manodopera sufficiente per la nuova era dorata dell’industria americana?
Nei giorni scorsi Goldman Sachs ha stimato all’1,7% la crescita dell’economia Usa per il 2025, rispetto al 2,4% di inizio anno. L’indicatore GDPNow della Fed di Atlanta si è spinto a stimare addirittura una contrazione del Pil Usa per il primo trimestre di quest’anno. Trump, nel frattempo, minimizza i timori sulla sua gestione dell’economia, affermando di non "vedere" una recessione in arrivo e liquidando la costante serie di perdite a Wall Street: il forte calo sui mercati, ha detto, "non mi preoccupa". L’oro, nel frattempo, ritocca i suoi massimi storici: ieri ha sfondato per la prima volta i 3mila dollari l’oncia, a riprova di quanto gli investitori puntino, in tempi di incertezza, beni rifugio per eccellenza.
A febbraio l'economia Usa ha creato 151mila posti di lavoro, sotto le attese degli analisti che scommettevano su quota 160mila. L’inflazione, invece, a febbraio tiene al +2,8%, ma il dato è precedente all’aumento dei dazi Usa al 20% sulle merci cinesi, al 25% di nuove tariffe su acciaio e alluminio estero, ai contro-dazi di Canada, Messico, Cina e Ue come risposta alle mosse di Trump. Per l’economia Usa, insomma, tutto rischia ancora di dover accadere. La prossima settimana si riunisce la Fed, che per ora potrebbe mantenere una posizione attendista, lasciando i tassi di interesse invariati al 4,25-4,50%. I prossimi passi, però, rappresentano un punto interrogativo, determinato anche dal potenziale impatto delle politiche di Trump sui prezzi al consumo.
Per J.P. Morgan, la probabilità che l'economia statunitense scivoli in una recessione quest'anno è del 40%, mentre secondo Ryan Sweet, capo economista statunitense di Oxford Economics, "è probabile che i dazi inizieranno a far aumentare i prezzi al consumo negli Stati Uniti nei prossimi mesi". Per Lee Hardman, analista di Mufg, "ulteriori prove di debolezza dell'economia o del mercato azionario statunitense potrebbero indurre il presidente a ridimensionare i suoi piani di implementazione delle tariffe".
Se le compagnie aeree hanno già lanciato l'allarme per un calo delle prenotazioni di viaggio, le organizzazioni del commercio Usa hanno messo in guardia sulle difficoltà finanziarie dei consumatori e i produttori alimentari hanno avvertito che i dazi potrebbero portare a nuovi aumenti dei prezzi. La stessa Tesla di Elon Musk ha avvertito di essere esposta, insieme ad altri importanti esportatori americani, a tariffe doganali di ritorsione e che, anche con una localizzazione aggressiva della catena di fornitura, "alcune parti e componenti sono difficili o impossibili da reperire negli Stati Uniti". Una rilevazione condotta da Business Roundtable su grandi aziende statunitensi, ha evidenziato che gli amministratori delegati Usa hanno ridotto i piani di assunzioni e spese in conto capitale e abbassato le aspettative di vendita in parte a causa di un “clima di incertezza a Washington”. L’effetto sui consumi rischia di essere importante. Trump insiste che le sue politiche economiche – compresi gli sgravi fiscali alle aziende - sono concepite per promuovere la crescita dell'occupazione nel lungo termine, ma potrebbero causare “qualche turbolenza” sul mercato nel breve termine. La sua scommessa poggia proprio sulla durata di questa turbolenza e sul credito che gli americani saranno disposti a concedergli.
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