La linea di Meloni: il premierato viene bocciato? Non lascio
di
Fabio Stringaro
Il premier time. «Spese militari al 2% nei 2025, nessun favore a Trump, è impegno preso con Biden». E attacca i giudici sui migranti. Legge elettorale, sì alle preferenze

Le frecciate più insidiose Giorgia Meloni le riceve dal centro. Da Carlo Calenda, che la incalza sui “numeri veri” del riarmo italiano. Da Matteo Renzi, che snocciola le contraddizioni tra la Meloni di opposizione e la Meloni di governo, compresa anche quella “preferenza” accordata a Putin nel 2015, a discapito di Mattarella, e definendola «campionessa d’incoerenza». Insomma il premier time al Senato si trasforma, com’era prevedibile, in un corpo a corpo tra leader (con Giuseppe Conte che assiste dalla tribuna). Dal punto di vista sostanziale, ne vengono fuori tre messaggi: uno, l’Italia raggiungerà il 2% del Pil in difesa, anche se non è chiaro quanti “miliardi freschi” saranno investiti; due, quando si parlerà di riforma elettorale, la premier confermerà la sua propensione verso le preferenze (molto meno gradita in un Parlamento composto attraverso liste bloccate, a dire il vero); tre, su Albania e migranti il governo non ha alcuna voglia di dismettere lo scontro con le toghe.Con 10 ministri con lei, alla sua destra Roberto Calderoli (Riforme) e alla sua sinistra Orazio Schillaci (Salute), la premier risponde dunque dopo diversi mesi alle domande delle opposizioni. Sulle riforme costituzionali, punzecchiata da Renzi, sembra tenere il punto. «Il premierato sta andando avanti, continuo a considerarla la madre di tutte le riforme. Non dipende da me ma dal Parlamento, ma la maggioranza è intenzionata a procedere spedita su questa riforma esattamente come è intenzionata a farlo sulla riforma della giustizia». Ma Meloni deve rispondere di una scelta che lo stesso governo ha fatto trapelare nei giorni scorsi, ovvero lo spostamento dei riflettori dal premierato alla legge elettorale. È ancora Renzi a ricordarle di quando combatteva per le preferenze. Lei non si tira indietro: «Resto favorevole».Il confronto tra la premier e Renzi è a dir poco vivace. L’ex inquilino di Palazzo Chigi la accusa di immobilismo sulle riforme e di aver privatizzato beni strategici. Lei si mette sulla difensiva e lo liquida in breve. Anche sulle eventuali dimissioni in caso di sconfitta al referendum: «Non farei mai niente che abbia già fatto lei».Sulla difesa, Calenda non si accontenta di un semplice riconteggio delle spese in essere, vuole capire se l’Italia rafforzerà Esercito ed armamenti, se prenderà «missili». La premier sul piano dei principi lo accontenta, sui dettagli economici gira al largo, dato che è un tema ostico per la Lega. «L’Italia finalmente raggiungerà il target del 2% perché c’è un governo che sa mantenere gli impegni presi», sostiene Meloni. «Senza sicurezza - è il concetto chiave - non c’è libertà». E la libertà «ha un prezzo». Dunque per le prossime sfide bisogna «costruire il pilastro europeo della Nato». Ma Calenda è insoddisfatto, non riesce a capire se il 2% arriverà con «artifici contabili» o con investimenti. L’interrogazione amica di FdI le consente di riprendere il filone migranti-Albania, con annesso attacco ai giudici. «Abbiamo deciso di usare i centri in Albania come ordinari Cpr. Ma alcuni tribunali pare stiano disponendo il ritrasferimento in Italia, ove il migrante avanzi una domanda di protezione anche manifestamente infondata». Insomma, «qualcuno vuole far restare a ogni costo queste persone in Italia» anche se «si sono macchiati di reati molto gravi» (e li elenca). Meloni rivendica anche «un 25%» di rimpatri avvenuti dall’Albania, ricorrendo alla percentuale forse perché in realtà sono appena 9 persone. Sul fisco, infine, la promessa di «obiettivi sempre più ambiziosi a sostegno delle famiglie» e di interventi concentrati sul «ceto medio».
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