«Ho paura di abituarmi alla fame e che il vuoto diventi mio amico»

di 
Davide Tizzo
La poetessa Fedaa Zeyad resiste sotto le bombe nella Striscia: «Israele punisce i nostri sensi». Lo psicoterapeuta Mohamed Abu Shawish: è la catastrofe
9 maggio 2025
La scuola dell'Unrwa bombardata a Bureij nel centro della Striscia di Gaza © ANSA
La scuola dell'Unrwa bombardata a Bureij nel centro della Striscia di Gaza © ANSA
“Ho paura di abituarmi alla fame, di accontentarmi di una crosta di pane e di un pizzico di sale sul bordo della tavola, e che il vuoto diventi mio amico”, scrive online con la sua tragica penna la poetessa Fedaa Zeyad da Gaza. Mentre la Striscia sprofonda nel rischio di una carestia, ad Avvenire la donna racconta quanto sia insopportabile “l’idea che i bambini cresciuti in guerra si abituino a pasti poveri di proteine, e che questa carenza diventi parte dei nostri sensi e della loro memoria. Qui i nati nel 2022 che ora hanno tre anni pensano che le lenticchie siano il pasto più importante. Non conoscono il concetto di pollo. Israele ci punisce con l'assedio mortale a tutti i nostri sensi”. Da nove settimane le autorità israeliane impediscono l’ingresso di rifornimenti e aiuti umanitari. “Mi sento come se avessi 70 anni, ma ne ho 26” confida Reem Hamad, professoressa di inglese sfollata nella Striscia occidentale, che più volte ha descritto la sua vita quotidiana a questo giornale. “Mia madre ha perso 20 chili, mio fratello Rami più di 10. Non c'è farina, e se ne troviamo è avariata o adulterata. Non è adatta al consumo umano e viene venduta a prezzi esorbitanti. Ma non abbiamo altra scelta e alla fine la compriamo, per scoprire che è mescolata alla sabbia”. Per fare acquisti, occorre pagare in contanti, ma i costi imposti per ritirare denaro dalle banche o per incassare trasferimenti dall’estero sono elevatissimi. “Ci vengono addebitate commissioni superiori al 30%” prosegue la ragazza. “Questo significa che 100 dollari valgono meno di 70, cifra che non è sufficiente per una dose giornaliera di farina per una famiglia. Ci sono persone disperate che girano in gruppi in cerca di cibo e per averlo commettono crimini, fino ad uccidere. Perciò nessuno si sente al sicuro da nessuna parte. Nemmeno nelle zone lontane dai bombardamenti, che si sono fatti estremamente intensi”. La parola ‘sicurezza’ ha “perduto il suo significato molto tempo fa. Ora è una questione relativa” commenta dal quartiere di Sheikh Radwan di Gaza City un professore universitario che preferisce non venga citato il suo nome. “Viviamo di avanzi, di scatolette. Carne e frutta sono cose del passato. Alcuni prezzi sono folli: un sacco di farina da 25 chili costa 1.500 shekel” (quasi 370 euro, dunque 15 euro al chilo, mentre in Italia costa 1 euro e mezzo). A queste condizioni già estreme, si aggiungono le notizie dei piani israeliani di deportare i gazawi. “A sentirle, la popolazione è frustrata, terrorizzata, arrabbiata”, aggiunge il professore. Il dottor Mohamed Abu Shawish, psicoterapeuta dell'Al Aqsa Martyrs Hospital, definisce la situazione alimentare attuale “catastrofica. La maggior parte delle persone fa solo mezzo pasto, alcuni non lo fanno proprio”. Chiediamo di tradurci dall’arabo uno dei suoi più recenti post sui social: “Tra i discorsi sull'estensione dell'operazione militare (israeliana) e sullo sfollamento forzato verso Rafah, fame e morte sono diventate compagne in ogni casa di Gaza. La carestia sta devastando i nostri figli, l'acqua è contaminata. Scrivo per invitare coloro che ricoprono posizioni di responsabilità a sentire il dolore delle persone, a toccare con mano il terreno, invece di teorizzare dall'alto. Scrivo per chiedere una soluzione che tiri fuori le persone da questa oscurità. Di quale resistenza parlate quando i corpi dei nostri figli si decompongono davanti ai nostri occhi? Non scrivo per piangere, ma per risvegliare chi ha la coscienza addormentata”. Torniamo a contattare anche Ikhlas Abu Riash, giovane madre di un bambino di due anni rimasta sola, perché il marito è stato arrestato durante uno sfollamento.Vivo nella mia casa distrutta e bruciata. Il tetto è inclinato e i muri sono crollati. Ogni notte mentre dormiamo ci cadono addosso pietre e arrivano insetti e topi” ci scrive online. Un messaggio dopo l’altro, il suo diventa uno sfogo: “Dico basta con questa guerra, abbasso Hamas e i suoi leader. Ogni volta che i combattimenti stanno per finire, Hamas rifiuta le proposte di tregua. Siamo pronti a sacrificarci, siamo con la resistenza ma siamo contro i governanti di Hamas perché hanno distrutto Gaza. Hamas ha iniziato questa guerra e Hamas deve mettervi fine. Per causa loro stiamo vivendo l’incubo di questo conflitto. Scrivetelo, non ho paura di nessuno. Un bambino di due anni perde il padre e soffre di malnutrizione, ma che colpa ha commesso per vivere un’infanzia così?”.

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